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La famiglia non è la stessa in tutto il mondo ricco. Un’importante differenza è tra Paesi dove i legami di sangue sono forti e Paesi in cui sono deboli. I forti legami di sangue prevalgono nella Penisola iberica, in Italia, nei Balcani meridionali, in Grecia, nei Paesi ricchi dell’Estremo Oriente – Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Macao, Singapore – e nelle regioni ricche della Cina. I deboli legami di sangue sono, invece, prevalenti nei Paesi dell’Europa centrale e settentrionale e in quelli anglosassoni d’oltremare – Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda.
La posizione dell’Europa orientale è incerta, anche perché non si riesce a capire quanto degli attuali rapporti familiari derivi da differenze storiche, e quanto sia invece condizionato dall’eredità del periodo comunista.
Anche nelle zone a deboli legami di sangue i genitori vogliono bene ai propri figli: indagini condotte in vari Paesi mostrano, anzi, che i livelli di affetto per i figli sono assolutamente comparabili, così come il tempo dedicato a essi. Anche in tali zone i fratelli sono legati fra loro da peculiari sentimenti di affetto; quello che cambia è il modo in cui amore e affetto si concretizzano nei rapporti sociali. Negli Stati Uniti ci sono genitori che si svenano per mandare i figli alle migliori università, ma, dopo i diciotto anni, questi stessi figli vedono i genitori tipicamente poche volte all’anno: la scelta di andare a studiare in una università prestigiosa implica vivere l’esperienza del campus. E nessuno se ne stupisce, perché è un modo di comportarsi condiviso da tutti.
Non è ben chiaro quale sia l’origine di queste differenze. La divisione tra regioni a legami di sangue forti o deboli non coincide con altre divisioni storiche del mondo (oggi) ricco. Non coincide, ad esempio, con la divisione fra cattolici e protestanti, anche se la Riforma – che ha posto l’enfasi sul rapporto personale fra Dio e ogni singolo individuo – ha messo radici profonde solo in Paesi a deboli legami di sangue. Tuttavia, la Francia, il Belgio, l’Irlanda, il Québec, alcune regioni tedesche e l’Austria sono Paesi cattolici, anche se a deboli legami di sangue, mentre nella zona a forti legami di sangue stanno a pieno titolo Paesi non cattolici, come la Grecia ortodossa e il Lontano Oriente, buddista o scintoista.
Le differenze c’erano certamente già nel XVI secolo, ossia quando i documenti storici su questi temi iniziano a diventare più ricchi e completi. L’indizio più importante è il modo diverso di provvedere alle esigenze delle persone più deboli della comunità. Un proverbio spagnolo dice che è veramente povero solo chi non ha una famiglia su cui contare. Quando possibile, nell’Europa meridionale i figli si prendevano cura direttamente delle persone anziane, e le persone disabili restavano in famiglia. Al contrario, nel Centro e Nord Europa era più comune che gli anziani o i disabili fossero assistiti dalle pubbliche istituzioni, ed è proprio in questi Paesi che nasce il moderno Welfare State. Ciò accade anche oggi: in Italia, Spagna e Grecia solo il 2% delle persone con più di sessantacinque anni vive in casa di riposo, contro il 6% di Francia, Olanda e Regno Unito.
Nei Paesi a forti legami di sangue, le visite e gli scambi reciproci fra genitori e figli, tipicamente, non si allentano nel corso della vita. Essi sono facilitati da una maggiore prossimità abitativa. Abitare vicini è un elemento essenziale, ancora oggi, per la forza dei legami di sangue. In Italia, il 50% delle persone con più di trent’anni, con la madre ancora in vita, risiede a meno di un chilometro da lei. In Francia e in Germania, la stessa proporzione non supera il 30%. Sempre in Italia, se si estende la distanza a dieci chilometri (un quarto d’ora di macchina in condizioni di traffico decenti), si giunge al 70%, contro il 45% di Francia e Germania. I confini nazionali tra Italia e Francia segnano effettivamente una frattura anche per la prossimità abitativa fra madri e figli. Il Piemonte è molto più simile alla Sicilia – da cui dista più di mille chilometri – che alla Francia sud-orientale, con cui confina. Al contrario, il confine tra Francia e Germania quasi non si distingue: i comportamenti familiari sono simili, in termini di distanza abitativa fra genitori e figli.
La prossimità tra genitori e figli in Italia non è diminuita nel corso del tempo. Alla fine degli anni ’90, la proporzione di nuove coppie che andava ad abitare nello stesso comune di almeno un genitore era altissima (86%), praticamente la stessa dei loro nonni. Quindi, quando la situazione economica lo permetteva, la grande maggioranza delle giovani coppie italiane è andata (e va tuttora) a vivere vicino ad almeno una famiglia di genitori. Addirittura, in un caso su cinque – nei matrimoni celebrati alla fine degli anni ’90 – gli sposini sono andati ad abitare a meno di un chilometro dalla casa di entrambi i genitori. In altre parole, gli sposini erano amichetti della porta accanto e sono rimasti nello stesso quartiere in cui sono cresciuti da bambini. Infine, anche i giovani che vanno a convivere senza sposarsi, se possono, cercano di trovar casa vicino ai propri genitori. L’Italia può quindi essere vista come un collage fra milioni di famiglie-grappolo.
L’Italia è un Paese a basso livello di senso civico, dove l’interesse collettivo viene spesso messo in secondo piano rispetto all’interesse privato o della famiglia: una tendenza che, ancora negli anni ’50, ha meritato una definizione specifica, quella di familismo amorale, da parte del sociologo americano Edward Banfield. L’Italia è anche il Paese dove questi comportamenti perniciosi per il bene comune – oltre a essere largamente praticati – vengono da molti esplicitamente giustificati. Alcuni studiosi – va citato almeno l’antropologo Carlo Tullio Altan – suggeriscono che la mancanza di senso civico si è sviluppata in Italia parallelamente alla crescita d’importanza della famiglia nella vita degli individui. Altan dice che, per una serie di ragioni storiche che si perdono nell’alto Medioevo, in Italia lo Stato moderno non ha potuto mettere forti radici, come invece è accaduto – fin dall’epoca feudale – in Paesi come la Francia, il Regno Unito e la Germania. Per compensazione, gli italiani si sono rifugiati nei legami familiari. La famiglia-grappolo è – insieme – luogo di affetti e di identificazione collettiva, e tutte le altre aggregazioni vengono messe in secondo piano, diventando solo strumenti per l’affermazione della famiglia stessa e di ogni suo componente.
In Italia, anche le aggregazioni collettive diverse rischiano di nascere malate, perché – quasi inevitabilmente – prendono come modello originario la famiglia, leale e solidale al suo interno, ma priva di moralità verso l’esterno. Le corporazioni di cui è piena la nostra nazione (dai tassisti ai notai, dalle estetiste ai professori universitari) e anche i cittadini che si raggruppano attorno a uno specifico obiettivo (impedire la costruzione di una discarica, favorire quella di un ponte…) rischiano di replicare il modello sociale della famiglia-grappolo. Le proteste assumono spesso i contorni del dramma familiare, in cui le famiglie vengono spesso sfruttate. Anche le organizzazioni criminali radicate nell’Italia del sud possono essere viste come una degenerazione di questo modello. Perfino le meritorie associazioni di volontariato che innervano l’Italia, specialmente nel centro-nord, possono non essere immuni da questo peccato originale.
Ma la famiglia-grappolo ha generato anche peculiari percorsi di sviluppo. Al suo interno essa può essere molto efficiente e flessibile, proprio grazie ai vincoli di lealtà e solidarietà fra i componenti. Inoltre, tale modello può contagiare positivamente l’impresa, estendendo a imprenditori e dipendenti i vincoli familiari di solidarietà e lealtà reciproca.
Ciò può far aumentare la produttività, perché entrambi sono stimolati a lavorare in modo più efficace ed efficiente. Da questo punto di vista, l’idea di far partecipare i dipendenti al destino economico dell’impresa potrà trovare buona accoglienza sia tra i dipendenti stessi che tra gli imprenditori, oliando un sistema già di per sé accettato dagli italiani come profondamente connaturato nella propria visione del mondo e dei rapporti sociali.
Quindi, la sfida per lo sviluppo economico e sociale dell’Italia passa anche per la messa a frutto degli aspetti positivi della famiglia-grappolo, ossia la sua capacità di generare sicurezza e solidarietà. Nello stesso tempo, va messo il freno ai suoi aspetti più negativi, in particolare la tendenza a generare inefficienza e disuguaglianze, e alla sua influenza negativa sul senso civico.

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