DUE

Se penso al due, penso a me e a te, a Lei e Lui. Così direbbe con semplicità Luce Irigaray, filosofa belga teorica della differenza di genere. Dal mondo comune, dal patrimonio inestinguibile delle esperienze più semplici, deriva che il ‘due’ è l’ambito dell’amore e del sentimento, il contesto imprescindibile di un’unità possibile anche, e soprattutto, sul piano linguistico ed espressivo.
Ma il due rimanda, ancora, alla nostra tradizione di pensiero nella sua interezza, al soggetto e all’oggetto, alla possibilità e alla necessità, alla libertà e alla coercizione. Ci conduce, attraverso la struttura grammaticale dell’ordine del discorso corrente e comune – con le antinomie che lo compongono e i dualismi che ne diffondono la forma – sin dentro l’articolazione dei rapporti sociali ed economici vigenti. Per il pensiero filosofico, anche storicamente, il rapporto con la duplicità è stato, ed in parte continua ad esserlo, terreno di scontri e ripensamenti, di entusiasmi e di indugi. Partendo dall’uno, il pensiero, sin da Platone, ha voluto ricercare le origini dell’altro, del diverso, del molteplice. Ma non appena ha indirizzato lo sguardo su questa varietà indistinta ha poi sentito, quasi fisiologicamente, la necessità di un ritorno all’uno originario, per obliare, forse, la dimensione creativa e di rischio che dal due discende.
È Luce Irigaray, sulle tracce di un autentico pensiero della differenza di genere, ad aver voluto capovolgere l’originario rapporto tra l’uno e il due per come veniva tradizionalmente concepito. La sua proposta di una ontologia declinata al due, donna e uomo, ci conduce sulla soglia della prima trascendenza concreta e percepibile, quella che, sancendo la differenza sessuale e di genere ci guida verso il fondamento di «una nuova etica, di una nuova politica nella quale l’altro si trova riconosciuto come altro e non come medesimo: più grande, più piccolo, al meglio uguale a me» (La democrazia comincia a due, 1994).
Il riconoscimento del due come fondamento stesso dell’essere moltiplica il nostro mondo e lo sottrae, sin dal principio, al regime dell’unità, del medesimo e dell’unico, come aveva mostrato Michel Foucault, e prima di lui Friedrich Nietzsche. Lo sottrae, in potenza, anche al caos dell’indistinto molteplice, pensato molto spesso come unica alternativa all’uno totalizzante.
Ma, se pensare al due come prima forma concreta dell’universalità stessa conduce al rapporto autentico e rispettoso tra un ‘io’ e un ‘tu’, già differenti nel loro genere come donna e uomo, allora sarà da ricercare, proprio a partire da questo rapporto originario, tutto ciò che è amore, creazione, rispetto ed etica: «[…] l’universale è due: è donna, è uomo. E si trova infine nell’incontro di questi due universali. In quest’incrocio, in questa culla, naturale e culturale, l’umanità può nascere e rinascere» (La democrazia comincia a due, 1994).
Le tracce dell’appropriazione possessiva dell’uno sull’altro/a, della riconduzione del due al medesimo e dell’altro a sé, andranno allora individuate proprio a partire dalla distorsione di quel rapporto originario, personale e sociale insieme, dato tra un Lui e una Lei. Non pare casuale quindi che gli schemi competitivi della moderna società di mercato invitino costantemente a una destrutturazione dello spazio comune e di quello familiare. La famiglia, in tal senso, è intesa come nucleo originario dell’‘essere in comune’ e fondamento primo dell’amore. I tempi e i ritmi di produzione sospingono ovunque ad un abbandono della condivisione nel focolare, come anche alla rinuncia ad una autentica socialità svincolata da dinamiche di consumo. Vede dunque bene Irigaray quando traccia l’ambito del sorgere di una nuova comunità politica e culturale a partire dai legami d’amore; esso è la nuova parola creatrice lungo la soglia che, al contempo, ci unisce e separa: unico elemento, l’amore – ma sempre nuovo – che può colmare il vuoto di senso con cui la ragione classica ha dovuto scontrarsi, infrangendo sogni, vite e speranze, nel suo anelito al medesimo, unico, indistinto.
Il due è terreno di creazione, l’ambito che rende possibile – per dirla con Hannah Arendt – una nuova nascita, l’imprevisto che già sospinge creativamente al futuro da curare e promuovere. Già Friedrich Nietzsche nel suo Così parlò Zarathustra (1883-85) ricordava: «Un corpo più nobile devi creare, un moto primo, una ruota da se stessa ruotante – tu devi creare un creatore. Matrimonio: così io chiamo la volontà di creare in due quell’uno che è qualcosa di più dei due che lo crearono».
Così vediamo re-impiantarsi quasi aristotelicamente il fondamento stesso di una polis possibile sul terreno dell’etica e della riscoperta non interessata delle relazioni gratuite, autentiche, non contrappositive e non mediate da sistemi di sapere-potere.
A proposito di quest’ultimo aspetto, tuttavia, a fronte della riscoperta del due, maschile e femminile, e della relazione transitiva tra un ‘io’ e un ‘tu’, i nostri modelli culturali, economici e formativi rispondono ancora, attraverso dinamiche di promozione di modelli identitari rigidi, mediante le vecchie logiche del predominio del soggetto sull’oggetto e dell’uno sull’altro. Mentre le più avanzate teorie della comunicazione invitano a valorizzare l’alterità, e a strutturare dinamiche autentiche di ascolto non pregiudiziale delle sue istanze più sentite e del suo modo d’essere, i nostri modelli istituzionali più diffusi sembrano ancora alimentare logiche di esclusione, e di unicità autoreferenziale, laddove voci ispirate all’uno si pretendono portatrici dell’unica verità indiscussa. Il discorso politico corrente veicolato dai media, d’altra parte, testimonia sin troppo chiaramente questa tendenza generale, rintracciabile in schemi, metafore e termini che rinviano, in sottofondo ma neanche tanto, sempre alla negazione dell’alterità e del due. La ragione o è dell’uno o dell’altro. In tal modo la ricchezza dell’alterità e del due si trova ad essere ridotta e interpretata come semplice scaturigine di dualismi; questi presto conducono a scissione e doppiezza piuttosto che a completezza e arricchimento nello strutturarsi dei rapporti personali, sociali, formativi e di conoscenza.
Una transizione è dunque più che auspicabile proprio prendendo le mosse dall’«essere in due» (Così parlò Zarathustra, 1883-85). Una riformulazione che conduca gradualmente, a partire dalla riscoperta dello spazio transazionale delle relazioni e del confronto, verso una lenta ma costante trasfigurazione dell’insieme dei modelli unici e competitivi che danno forma all’attuale vita sociale e politica. Tutto ciò verso la costruzione e la con-divisione di veri spazi comuni incentrati sull’etica e sul bene.
Ricchezza imprescindibile di tale svolta sono gli uomini e le donne che abitano il mondo, le loro storie, le loro abilità, le loro virtù, i loro sogni, le loro passioni e la loro capacità di porre insieme le premesse per la creazione di una civiltà ispirata a una «saggezza dell’amore», dell’ascolto e del rispetto comune (L. Irigaray, La via dell’amore, 2008).

Letture consigliate
M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 1967.
L. Irigaray, Amo a te. Verso una felicità nella storia, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
L. Irigaray, La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
L. Irigaray, La via dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 2008 (ed. orig. 1883-85).

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