SCARTI E ABBANDONI

Topolò è un paese in una terra di confine, dove un tempo la strada sembrava terminare, arresa all’impenetrabile vuoto della frontiera. Il confine segna la separazione ed allo stesso tempo è spazio di congiunzione. A Topolò esso è stato vissuto come un passaggio negato e Topolò come un paese ai margini dal quale partire in un unico movimento di uscita. E noi è lì che siamo diretti, a Postaja Topolove (Stazione Topolò), per sostare ed intraprendere altri viaggi di andata e ritorno in un movimento di reinvenzione del luogo di frontiera, che da ostacolo diventa opportunità.

La ‘Stazione di Topolò’ ha rotaie fatte di sassi, legno, terra e acqua, elementi manipolati in forma di casa, stalla, fienile; forme che contengono intense vicende di famiglie di cui sono in pochi a serbare memoria. La maggior parte delle case sono forme spente che vengono rianimate con l’arrivo degli artisti, i nuovi ospiti, che interagiscono con le realtà del luogo, le tracce di un passato e la sua gente. Lo spopolamento del paese fa da eco costante alla sua rivisitazione artistica. Topolò diventa stazione, crocevia di storie, cantiere di idee creative in un impasto di ethos festivo.

Sono giorni di festa ora: spettacoli estemporanei e memorie scolpite in uno spazio che coniuga confini geografici e tempi senza limite. Giovani studenti si incontrano e cominciano percorsi di riflessione artistica, ed è qui che, in tempi maturi, metteranno in scena il loro spettacolo. Altri artisti s’addentrano nelle storie degli abitanti del paese, quei pochi rimasti, raccogliendone memorie in seguito proiettate sui muri del paese. Alcune pietre sono crollate ed è con esse che forse non si segnerà più un confine di ‘appartenenza’, ma si creerà qualcosa di nuovo; raccolte da terra per dare supporto a nuove strutture, diventeranno l’espressione di nuove interazioni, talvolta effimere, ma irripetibili nel loro riapparire estivo.

In un paese che oscilla continuamente tra realtà e virtuale, una scia d’aereo nel cielo riporta alla mente il rullare del tabellone degli arrivi dell’aeroporto di Topolò, aperto in una delle ultime edizioni della ‘Postaja’. All’inaugurazione erano presenti tutte le autorità virtuali del paese: il direttore della Ingold Airlines, una compagnia aerea di Colonia (vera, così mi hanno detto), tra una diapositiva di powerpoint ed un sorriso ammiccante, indicava alla platea la luce lampeggiante al di là della vallata. In una qualsiasi sala d’aspetto il rumore delle tavolette dei caratteri che girano ricombinandosi si perderebbe tra il brusio generale, ma nella notte di Topolò questo ticchettio periodico ed inesorabile squarciava la notte e si sovrapponeva al lontano scroscio del torrente creando una tensione ed un clima di attesa ancora più forte di quello che si respira nei terminal. Quelli veri.

Questa sera, invece, è in programma l’‘Also sprach Zaratustra’. Suonerà la Young Musicians’ International Symphony Orchestra, composta da alcune decine di giovani tra i 13 ed i 17 anni, provenienti dall’area che dalla Bielorussia scende fino alla Macedonia.
Sul programma c’è scritto ‘Auditorium Potok’: suoneranno nell’‘auditorium torrente’. È uno spiazzo che normalmente viene utilizzato come parcheggio, ma stanotte sarà un teatro. C’è energia e tensione nell’aria. È il primo concerto sinfonico della storia di Topolò.

Silenzio. Lo spettacolo ha inizio. Il brusio scende gradatamente, fino al momento in cui si avverte, in lontananza, il fruscio del torrente che incontra la prima nota della giovane, vera, orchestra in un turbinio di suoni. E la stazione si riempie di passeggeri.

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