COLORE

Colori si mescolano, vengono spruzzati e luccicano sotto il camuffamento sociale di Holi, l’annuale festival dei colori e la meno religiosa delle feste indiane, dove i controversi confini di casta, genere, religione, insieme alle appartenenze territoriali, si dissolvono temporaneamente nella complessiva esuberanza e vivacità della primavera (Vasanta-Mahotsava).

Celebrata da molti secoli prima di Cristo in tutta l’India nel mese di marzo (Phalguna), in modo particolare nelle regioni settentrionali del subcontinente, questa festa di due giorni segna sia il risveglio delle speranze per una nuova stagione – con il suo futuro raccolto – sia, ad un più alto livello metafisico, la trascendenza del concetto di sé e di ego, simbolicamente rappresentati dall’antichissimo culto di Agni, la divinità del fuoco. Per questo motivo, enormi falò vengono accesi dagli abitanti dei villaggi con tronchi di legno, ceste con torte di sterco di mucca, burro chiarificato, miele, noci di cocco e con i nuovi prodotti appena colti dai campi per essere offerti in primo luogo alla divinità, al fine di ottenerne la benedizione. Lo splendore di Holi è vividamente espresso dalle donne che decorano le loro case con fiori e con i tradizionali rangolis (disegni riccamente ornati) dipinti sulle porte d’ingresso con polvere colorata di riso o di fiori, e offrono dolci agli ospiti.

Per celebrare la vita biologica che ciclicamente si sviluppa attraverso la fioritura degli alberi, dei giardini e dei parchi, la gente si imbratta con gioia e si getta addosso una miriade colorata di polveri e di acqua profumata (gulal), preparate con pigmenti mescolati tradizionalmente in casa e ricavati da fiori del posto, come ad esempio la Fiamma della Foresta (Butea monosperma) che dà un meraviglioso colore giallo-arancio. Allo stesso modo, la multiformità policroma di questa festa vibrante si dilata tanto diversamente quanto diversi sono i miti e le leggende che la circondano. Nel Sud dell’India i falò sono associati alla leggenda di Kama, il dio dell’amore, incenerito da Shiva poiché, nel suo stupido orgoglio, osò distogliere il potente dio dalla sua profonda meditazione. Per tale motivo Shiva, in un attacco d’ira, scagliò del fuoco dal suo terzo occhio distruggendo in questo modo Kama. Un altro mito si richiama alla storia del re demone Hiranyakashypu che cercò di uccidere il proprio figlio Prahlada poiché osava venerare Vishnu contro il suo volere. Al fine di bruciarlo vivo e distruggere in questo modo il vero nome di Vishnu, il re inviò sua sorella Holika che era divinamente immune dal fuoco. Costei persuase il giovane Prahlada a sedersi sul suo grembo e lei stessa si sedette sopra un falò ardente, pienamente convinta che sarebbe rimasta incolume. Ma a causa dell’immensa fede di Prahlada in Vishnu, Holika venne divorata dalla fiamme mentre il giovane uscì fuori dal fuoco. Un’altra versione della stessa leggenda mostra il re Hiranyakashypu in procinto di decapitare Prahlada allorché Vishnu emerge da una delle colonne del palazzo reale nella forma di Nara-simha (nara/uomo, simha/leone) e lo uccide aprendogli lo stomaco con i propri artigli affilati. Prahlada venne così installato sul trono e regnò saggiamente per molti anni. Il trionfo delle forze del bene su quelle demoniache è di nuovo rappresentato dalla leggenda di un’orchessa di nome Dhundhi la quale, nel regno di Prithu, era solita mangiare i bambini e fu fatta scappare per sempre dalle loro grida e beffe dispettose. Sebbene si fosse garantita diversi benefici che l’avevano resa pressoché invincibile, le urla offensive e gli sbeffeggi dei ragazzi provocarono una crepa nella sua armatura dovuta a una maledizione di Shiva e così fu finalmente cacciata dal regno. Allo stesso modo, Krishna, ottava reincarnazione di Vishnu, è venerato durante la festa di Holi in ricordo degli episodi mitologici che lo videro, dapprima, come dio bambino che sconfigge il demone femminile Pootana, poi come sposo di Radha che imbratta giocosamente la sua bellissima faccia con polvere colorata, e quindi come amante che gioca eroticamente con polveri colorate insieme alle sue numerose pastorelle (gopis).

Dal suo stratificato background mitologico, Holi mutua anche l’attenzione al corpo fisico e alla mortalità dell’esperienza mondana. Come una festa di emancipazione pagana che segna l’inizio della primavera e la rinascita della natura, il selvaggio festeggiamento spontaneo che ha luogo non è diverso da quello dei Saturnali dell’antica Roma, precursori dei carnevali medioevali celebrati prima della Quaresima, o da quello della festa cinese delle lanterne nella quale la perdita delle regole e delle restrizioni sociali colma i divari e unisce le persone. È un tempo di cambiamento e fluttuazione dove l’atmosfera carnale, sensuale e fisica di licenziosa baldoria e di linguaggio scurrile rovescia temporaneamente e livella tutte le gerarchie saldamente stabilite. Ciò è persino più rilevante delle distintive ‘asimmetrie’ sociali dell’India dove il sistema delle caste (varna/colore), una delle più potenti forze di divisione del Paese, permea prepotentemente le istituzioni pubbliche, le abitudini quotidiane e il comportamento. Tuttavia, dovremmo tenere a mente che le disuguaglianze sociali dell’India hanno coesistito anche con una lunga tradizione di eterodossia e di inclusività che non di rado permetteva ‘accettazione’ tra i diversi gruppi, come messo in evidenza da Amartya Sen (The Argumentative Indian, 2005). In modo interessante, nel contesto delle amichevoli celebrazioni di Holi, questa inclusività di classe può essere osservata, ad esempio, nel gioco di Bhavbhooti Maltic-Madhav, dove il re si mescola con i suoi sudditi e condivide con loro la folle allegria della festa; ma anche in una tavola del XVI secolo trovata in un tempio ad Hampi, antica capitale dell’impero Vijaynagar, che mostra le belle sculture di una coppia reale circondata da giovinette che spruzzano loro addosso acqua colorata usando siringhe di bambù (pichkaris).

All’interno della negoziabile interfaccia festiva di Holi, fuori dai confini temporali e spaziali, i corpi macchiati dai colori diventano trans-individuali, liberi e senza limitazioni, e riemergono collettivamente nel confondersi delle convenzioni lineari: essi racchiudono in modo spettacolare la diversità dell’umanità in tutte le sue forme riducendo ciascuno allo stesso livello e mettendone in evidenza tutti i propri difetti. Qui le imperfezioni trionfano su ciò che è perfetto, le marginalità soppresse vengono liberate in una caleidoscopica matrice di possibilità, l’inattaccabile viene buttato a terra e il ciclo della vita e della morte viene schernito con risate ambivalenti, poiché non c’è, in realtà, distinzione tra il naturale e il sovrannaturale, il ‘reale’ ordinario e il ‘magico’ straordinario.

multiverso

4