UGUALE

Intervista di Augusta Eniti a Carlo Sini

Augusta Eniti. Lei ha più volte affermato di nutrire qualche sospetto nei confronti dei ‘principi’ che parlano dell’uomo e del cittadino. In effetti, dietro l’uso e la pretesa fede nei principi democratici si opera una dominazione violenta e cinica. I principi sottendono un’idea puritana, un’idea di accettabilità dell’atto che non tollera la differenza.

Carlo Sini. Stabilire dei principi è ovviamente necessario, ma il loro valore è altrettanto ovviamente condizionato dalle circostanze entro le quali lo stabilimento ha avuto luogo. Vi è invece la tendenza all’assolutizzazione così come alla generalizzazione dei principi stessi. Ciò conduce a conseguenze impreviste e indesiderate. Per esempio, la libertà di espressione (sacrosantamente rivendicata e difesa in certe situazioni storiche e contro certe violenze censorie) diviene oggi un comodo alibi per operazioni che corrompono il costume sociale al solo fine del profitto di alcuni astuti e avidi delinquenti (ce n’è in giro un bel po’, tutti con il sussiego di chi difenderebbe la ‘democrazia’: non nutro nei loro confronti alcuna ‘tolleranza’). Un buon sistema per verificare la congruità dei principi è quello di considerare ogni volta e in concreto le conseguenze che ne derivano, secondo la nota formula di Charles S. Peirce: il significato ‘vero’ di ogni azione sta nelle conseguenze pratiche cui osserviamo che essa dà luogo. Capisco che questo modo di ragionare, sebbene semplice e in sé evidente, sia nei fatti ‘rivoluzionario’ e quindi difficile da accogliere. Non fa comodo a molti, ma mi sembra che esso contenga l’essenza del metodo democratico, che non consiste in ‘elezioni’, spesso addomesticate o peggio e comunque troppo generiche perché i cittadini abbiano la possibilità di capire che cosa davvero converrebbe loro scegliere, ma consiste soprattutto nella possibilità di ‘controllo’: questa è oggi praticamente inesistente per il singolo cittadino.

Augusta Eniti. Oggi ci troviamo di fronte a una perdita di civiltà e memoria. Questo ha a che fare con la questione dei diritti. La mortificazione dell’arte e della cultura, della formazione, indica una perdita della complessità che segue ai diritti, a favore di una semplificazione che è il tagliar corto e che non ha niente a che vedere con il taglio che instaura la differenza.

Carlo Sini. I difetti ai quali allude la domanda sono propri di una società di massa, quale è divenuta la nostra. Non vedo come si possa tornare indietro verso società ‘aristocratiche’, né trovo ragioni per desiderarlo. In ogni società ci sono pregi e difetti, vantaggi e svantaggi. Ciò che è urgente fare è trasformare i nostri abiti sociali e culturali per correggere i difetti dell’attuale società di massa e magari per sfruttarne meglio le opportunità. Credo che il punto stia nella nostra ancora troppo invecchiata mentalità generale, nelle nostre abitudini concettuali, ormai obsolete, e soprattutto nella egoistica difesa dei ‘diritti’ acquisiti dal passato da parte di determinati settori della società.

Augusta Eniti. In quest’ottica come è possibile pensare ad una futura integrazione tra diverse culture?

Carlo Sini. Più che nelle teorie, nelle chiacchiere e nelle cosiddette buone intenzioni, credo che l’integrazione accada quando ci si mette a fare le cose insieme, lasciando a tutti uno spazio di intervento ragionevolmente ampio. Non ho l’impressione che questo oggi accada, se non in casi eccezionali.

Augusta Eniti. Che cosa significa e quale portata ha per l’attuale, e quindi per il futuro, la sua proposta di smettere di ragionare per principi e di guardare alle conseguenze? Come riformulare la ‘Carta dei diritti’?

Carlo Sini. Smettendo di parlare di ‘diritti’ e pensando invece alle ‘opportunità’. In linea generale suggerirei di ragionare come se nessuno avesse diritto a niente (la vita ‘naturale’ sembra spesso trattarci così). Chi parla di diritti ha implicitamente o esplicitamente una pretesa ‘assolutistica’ che personalmente non condivido e che non credo produca qualcosa di buono, salvo altrimenti non produrre assolutamente nulla, se non discorsi retorici. Ciò che è davvero e sempre necessario è concordare e concertare comportamenti che rispettino esigenze definite e condivisibili. Offrire a tutti e anzitutto ai più le opportunità per vivere e per pensare meglio, ecco un programma che mi sembra assai più accettabile. Naturalmente è difficile, perché riconoscere a parole un diritto (per esempio all’istruzione) è facile, ma non comporta poi di per sé che le scuole funzionino e che tutti ne possano trarre profitto. Stabilire in concreto opportunità volta a volta ben definite è invece cosa più fruttuosa, ma naturalmente ben più difficile da ottenere.

Augusta Eniti. Le categorie che governano e strutturano l’economia e la scienza politica dell’Occidente non sono più in grado di leggere e comprendere le trasformazioni che stanno avvenendo. Come lei sostiene c’è un cambio di scrittura, che ci interpella sulla necessità di ripensare le due categorie generali del tempo e della generazione.

Carlo Sini. L’economia mondiale si fonda tuttora sulle due scritture fondamentali dell’Occidente, l’alfabeto e la matematica galileiana. La loro attuale insufficienza dovrebbe essere evidente (ma per lo più la cosa non è minimamente compresa e ci vorrà chissà quanto tempo perché lo sia). Intanto la scrittura delle cose però continua e con notevole progresso di tipo tecnologico. Il grande compito della cultura, anzitutto filosofica, è quello di arrivare a decifrarne il senso e la novità. Questo è ciò a cui mi riferisco con le espressioni ‘etica della scrittura’ e ‘foglio-mondo’.

Augusta Eniti. Lei fa riferimento alla straordinaria tradizione del Rinascimento, come possibilità di trovare ispirazione su come operare e vivere altrimenti, di trovare ispirazioni per un’altra ‘etica della scrittura’.

Carlo Sini. Penso, in particolare, al modello di Leonardo: scienziato, ingegnere, pittore, inventore, scrittore ecc. Penso al modello della ‘bottega’, dove non ci si limita a parlare, ma si fanno ‘cose’ in base all’‘arte’. Si tratta di un modello che non si è potuto imporre, perché storicamente sommerso dalla vittoria ‘pratica’ dei saperi ‘specialistici’. Ora mi sembra che la nostra situazione generale e comune richieda la riedificazione di un sapere al tempo stesso comunitario (non aristocratico), efficiente e unitario nello spirito e nel senso. Una bella sfida, non c’è che dire.

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