UGUALE

C’è un modo di dire in America che recita: «La varietà è il sale della vita». Troppo della stessa cosa (anche del gelato!) può essere noioso: e tutti hanno bisogno di evitare la noia ad ogni costo. Ma c’è anche un lato più serio nell’importanza della variazione e della diversità sia nei sistemi culturali umani che in quelli biologici. Negli ultimi cento anni, da quando la popolazione umana si è sviluppata così rapidamente, abbiamo perso circa 500 lingue e stiamo forse perdendo 30.000-40.000 specie all’anno in tutto il mondo. Dobbiamo chiederci: è importante la perdita di variazione e di diversità? E per decidere su questo argomento dobbiamo anche chiederci: qual è il significato della diversità in primo luogo? Perché è importante?

Variazione – e diversità – sembrano essere incorporate nella natura dei sistemi biologici, dal genoma fino agli ecosistemi. Parliamo di ‘variazione genetica’ e ci rendiamo conto, come ha fatto Charles Darwin nel suo Taccuino E (edizione italiana a cura di Telmo Pievani, Laterza, 2008), scritto fra la fine del 1838 e l’inizio del 1839, che la variazione ereditaria è una delle tre semplici pietre angolari dell’evoluzione attraverso la selezione naturale. Darwin scompose la selezione naturale in tre crudi enunciati:
- i nipoti come i nonni;
- tendenza al piccolo cambiamento (in particolare rispetto al cambiamento fisico);
- fertilità maggiore in proporzione all’aiuto parentale.

La prima frase enuncia semplicemente il principio dell’ereditarietà, anche se i meccanismi della genetica erano del tutto sconosciuti a Darwin e ai suoi contemporanei. La terza è il principio malthusiano per il quale ad ogni generazione ci sono molti più nati di quelli che riescono effettivamente a sopravvivere e riprodursi.
La seconda frase è cruciale per i nostri interessi attuali: Darwin vide che la variazione ereditaria è assolutamente necessaria affinché si abbia evoluzione. I biologi contemporanei sono ovviamente d’accordo.

Ma possiamo dire che la variazione genetica – così essenziale perché si abbia un processo evolutivo – è un valore in sé? Il grande genetista e biologo evoluzionista Theodosius Dobzhansky (in particolar modo nel suo libro Genetics and the Origin of Species, Columbia University Press, 1937) era interessato alla conservazione della variabilità genetica nelle popolazioni naturali. Dobzhansky suggerì che la variazione genetica ha un valore reale e che l’evoluzione è un compromesso tra due estremi: da una parte eliminare la variazione per focalizzare gli adattamenti di una specie il più vicino possibile al suo picco adattativo e dall’altra conservare sufficiente variazione genetica in modo tale che l’evoluzione possa cambiare gli adattamenti di una specie nel caso in cui l’ambiente subisca delle modificazioni.

Ed empiricamente sembra che le specie variabili tendano ad avere una più ampia distribuzione geografica, si adattino ad un maggiore numero di condizioni ambientali – e siano capaci di evitare l’estinzione per periodi di tempo più lunghi – rispetto alle specie meno variabili e più strettamente focalizzate da un punto di vista adattativo (su questo argomento vedi Niles Eldredge, Simpson’s inverse: bradytely and the phenomenon of living fossils, in N. Eldredge e S.M. Stanley (eds.), Living Fossils, Springer Verlag, 1984, pp. 272-277, e Niles Eldredge, Where the twain meet: causal intersections between the genealogical and ecological realms, in N. Eldredge (ed.), Systematics, Ecology and the Biodiversity Crisis, Columbia University Press, 1992, pp. 1-14).

Ma c’è un problema derivante da questo tipo di ragionamento: la selezione naturale non può anticipare il futuro, nel senso che non c’è una spiegazione razionale del perché alcune specie hanno una variazione genetica che è di molti ordini di grandezza maggiore di altre specie – anche rispetto ad alcune di quelle più strettamente vicine. E questa è la ragione per cui molti biologi hanno speculato a proposito di un possibile valore a breve termine della diversità, come ad esempio la riparazione del DNA negli organismi diploidi. Il motivo per cui alcune specie sono più variabili di altre rimane, al momento, un fenomeno biologico ancora non completamente chiarito.

Ad un più elevato livello di complessità, alcuni ecologi hanno ipotizzato che gli ecosistemi con un maggior numero di specie diverse siano intrinsecamente ‘più stabili’ rispetto a sistemi più semplici composti da una minor quantità di specie. Altri ecologi hanno messo in discussione questo punto di vista – sostenendo in alcuni casi l’esatto opposto.

Così come nel caso del mantenimento della variazione genetica, la ragione per cui alcuni ecosistemi (soprattutto ai Tropici) sono caratteristicamente se non invariabilmente composti da un maggior numero di specie rispetto ad altri ecosistemi (in modo particolare ad alte latitudini e longitudini) rimane argomento di dibattito in ecologia e in biologia evoluzionistica (vedi Eldredge, 1992). L’evoluzione è più rapida ai Tropici che alle latitudini maggiori? O c’è qualcos’altro che entra in gioco? Ancora una volta il ‘valore’ della diversità ecologica per i sistemi biologici non è di per sé completamente chiarito.

Ma una cosa è certa: la diversità della vita, dai batteri ai metazoi e alle metafite, rappresenta un netto guadagno tanto nella diversità dei sistemi fisiologici di base quanto in complessità. Così come le linee evoluzionistiche divergono e nuovi adattamenti vengono forgiati, c’è minor tendenza ad utilizzare un secco e semplice rimpiazzo del vecchio con il nuovo. I batteri non sono stati resi obsoleti dall’evoluzione dei mammiferi, tanto meno da quella dell’Homo sapiens! I procarioti ancor oggi forniscono i sostegni fisiologici di quasi tutti gli ecosistemi della Terra. La storia della vita non è stata una scala in progressione, ma piuttosto un percorso dentellato di aggiunte di originali vie fisiologiche e biochimiche per i processi essenziali di trasferimento tra materia ed energia che sono fondamentali per tutte le forme di vita.

Se gli argomenti della variazione e della diversità sono difficili da determinare in termini di valore, chiudo suggerendo che dobbiamo guardare al problema da un’altra prospettiva, come anticipato all’inizio di questo testo: perdere le specie del mondo attraverso il degrado degli ecosistemi pone una seria minaccia alla continuità della nostra stessa esistenza. Gli esseri umani continuano ad utilizzare almeno 40.000 specie selvatiche come cibo, riparo e vestiario; continuiamo ad aver bisogno di acqua fresca da bere (che si dice non essere disponibile al giorno d’oggi a un terzo dei 6,5 miliardi di abitanti del pianeta) e di altri sotto-prodotti di ecosistemi sani. Ed i servigi degli ecosistemi sui quali confidiamo sono essi stessi una funzione della diversità presente in quegli ecosistemi.

Aggiungete a questo il valore puramente estetico della ricchezza della diversità della natura, e pensate anche al valore estetico della diversità umana, incluse le lingue (come misura delle culture) che abbiamo perso così di recente. A mio parere, sia le considerazioni pratiche che quelle estetiche definiscono il vero ‘valore’ della diversità nel mondo vivente. Vive la difference!

[Traduzione di Paola Zamparo]

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