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A meno di catastrofi, nei prossimi vent’anni in Italia l’afflusso di stranieri continuerà ai ritmi dell’ultimo decennio (+ 300.000 l’anno), perché andranno in pensione i figli del baby-boom (900.000 l’anno) mentre i nuovi ventenni – i figli del calo delle nascite del 1980-2000 – saranno appena 600.000 l’anno. Inoltre, anche oggi, in piena crisi, le famiglie continuano a cercare collaboratori familiari, e molte imprese lavoratori manuali, perché i figli degli italiani snobbano questi mestieri, poco pagati, molto faticosi e visti come poco prestigiosi.

Sarebbe però sbagliato leggere questi numeri con gli occhiali della crisi. In realtà, l’Italia è in piena rivoluzione demografica. La struttura socio-economica del nostro paese è stata salvata dagli stranieri. Dove questi non arrivano – come in alcune aree marginali del Centro Nord e in quasi tutto il Sud – l’invecchiamento accelera e la struttura sociale si disarticola: chiudono le scuole, gli uffici postali, le farmacie, i negozi di alimentari, e le poche famiglie giovani se ne vanno.

Come tutte le vere rivoluzioni, anche quella demografica non è un pranzo di gala. Irenistiche aperture o arcigne chiusure possono generare grandi sofferenze. Ma come dimostra la storia, le società possono attuare politiche che – partendo da una realistica analisi (qui e ora) delle migrazioni – ne esaltino gli aspetti positivi, minimizzando nel contempo quelli negativi. È proprio questa prospettiva ‘politica’ che ha guidato la prima ricerca nazionale sui figli degli immigrati, condotta da un pool di università italiane e dalla Fondazione ISMU (Iniziative e studi sulla multietnicità) di Milano, conclusasi con la pubblicazione del libro di Gianpiero Dalla Zuanna, Patrizia Farina e Salvatore Strozza Nuovi italiani: i giovani immigrati cambieranno il nostro paese? (Bologna 2009).

A metà del 2009, vivono in Italia 900.000 stranieri con meno di 18 anni, il triplo rispetto ad appena otto anni prima. Negli ultimi tre anni, i minorenni figli di stranieri sono aumentati di 100.000 mila all’anno e tutto fa pensare che questi ritmi di crescita si riproporranno in futuro. Nei paesi con una consolidata storia immigratoria la ricerca sui giovani figli di immigrati ha ormai una storia lunga.
In Italia, invece, siamo ancora ai primi passi. In questo libro – per la prima volta – è possibile giungere a conclusioni che vanno oltre agli ambiti locali, all’analisi di singole nazionalità o a valutazioni impressionistiche.

Il primo risultato è che la scuola, pur svolgendo un lavoro prezioso di socializzazione e di integrazione, anche oggi – come ai tempi di don Milani – perpetua da una generazione all’altra le differenze sociali. Le nuove disuguaglianze, secondo il luogo di provenienza dei genitori, si sovrappongono a quelle vecchie, secondo il livello culturale e la dimensione della famiglia. I giovani stranieri, anche quelli nati in Italia, hanno risultati scolastici molto peggiori rispetto ai coetanei italiani. Vengono bocciati e lasciano la scuola molto più di frequente rispetto ai figli degli italiani, prendono voti più bassi, raramente si iscrivono ai licei. Questo è un grosso problema, perché – come è accaduto in altri Paesi – se i giovani stranieri non raggiungeranno una posizione sociale migliore dei loro genitori, svilupperanno opposizione, rancore e antagonismo verso la società ospite e le sue regole. Anche l’Italia può imitare la Francia, il Belgio, la Germania, la Svizzera e l’Olanda, dove i figli degli immigrati, in media, commettono più reati rispetto ai loro genitori e ai coetanei autoctoni. D’altro canto, la Svezia dimostra che questo non è un destino ineluttabile: se, con le opportune politiche attive, le disuguaglianze vengono colmate, anche il tasso di criminalità si abbassa drasticamente.

Altre paure, invece, non trovano riscontro nei dati. I ragazzi stranieri non frenano la modernizzazione culturale. Al contrario, i figli di immigrati, specialmente quelli giunti da poco in Italia, hanno atteggiamenti meno tradizionali dei loro coetanei italiani. Particolarmente significative sono le opinioni e gli atteggiamenti delle ragazze, che hanno una visione delle donne più moderna rispetto alle coetanee italiane. Un ultimo timore è che i giovani immigrati, se troppi, snaturino – per così dire – la società d’arrivo. Ma anche questa paura non è giustificata. I ragazzi socializzati in Italia sono assai più simili agli italiani del loro ceto sociale che ai coetanei e connazionali giunti in Italia più grandicelli. Ma anche questi ultimi colmano rapidamente i gap con i coetanei autoctoni. Questo è vero non solo per fattori esteriori, come i consumi e la formazione delle amicizie, ma anche per aspetti più intimi, come la religione, il fatalismo e l’incertezza.

Da questi risultati scaturiscono due immediate considerazioni di ordine politico. In primo luogo, viene ribadito il ruolo centrale della scuola italiana – interclassista e gratuita – come elemento di integrazione fra ragazzi e famiglie straniere e autoctone. L’Italia è in una posizione certamente più favorevole rispetto a paesi come gli USA, dove a causa della forte segregazione scolastica e degli scarsi investimenti nella scuola pubblica – come ha mostrato una ricerca recente – quattro genitori stranieri su dieci hanno paura di mandare i figli a scuola. Nello stesso tempo, però, la scuola italiana non è in grado di colmare le differenze di capitale umano rispetto ai giovani italiani, così come non colma quelle fra italiani appartenenti a diverse classi sociali. Bisogna aiutare i ragazzi (italiani e stranieri che siano) che non hanno la fortuna di avere una famiglia culturalmente attrezzata. Non va ‘abbassata l’asticella’, ossia non va ridotto il livello di quanto preteso dalla scuola. Va invece offerta più scuola a chi parte da più indietro: aiuti per i compiti a casa, corsi di italiano come seconda lingua, ecc. Su questo versante, l’Italia è piena di iniziative locali volonterose e intelligenti, ma mancano piani nazionali o regionali di ampio respiro.

L’altra indicazione è più generale. Al di là di ogni retorica, i giovani figli di stranieri possono essere una risorsa immensa per l’Italia, perché la loro ansia di farsi strada nella vita e di integrarsi nella società italiana è divorante. Essi portano con sé tutta l’energia contenuta nelle migrazioni motivate da ricerca di lavoro. La meglio gioventù di tutto il mondo viene spontaneamente selezionata e forgiata dalle fatiche delle migrazioni e, in un certo senso, viene ‘regalata’ alla società italiana. Vanno quindi rigettati i dubbi – spesso espressi anche da eminenti studiosi – sulla cattiva ‘qualità’ dell’immigrazione italiana, tutta concentrata sugli strati lavorativi più umili. Se messi in grado di far fruttare i loro talenti, i giovani figli di stranieri realizzeranno brillanti percorsi di mobilità sociale ascendente, dando una spinta poderosa all’Italia di domani.

multiverso

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