MISURA

‘Misurare il diritto’ è formula riassuntiva per indicare il problema del ruolo e della funzione delle grandezze quantitative nel campo delle ricerche giuridiche.
Questo problema sussiste in molte dimensioni nella riflessione giuridica contemporanea. Ad esempio, risorse pubbliche sono dedicate a ricerche e studi rivolti alla misurazione dell’effetto di provvedimenti legislativi: regionali, statali e comunitari. Ricordo, tra i tanti, la cosiddetta ‘Carta di Matera’ approvata il 25 giugno 2007 da dodici Consigli regionali (Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Trentino Alto Adige e Veneto), in cui le Assemblee regionali firmatarie si sono ufficialmente impegnate a promuovere l’uso di strumenti dedicati al controllo sulle leggi, nonché alla valutazione degli effetti delle leggi emanate dalle Assemblee stesse sulla vita quotidiana dei cittadini. La Commissione europea ha lanciato un programma di Impact Assessments dei provvedimenti normativi da essa predisposti. Tale programma si è per ora svolto ex ante mediante pareri resi da Panels indipendenti, ma la stessa Commissione, in sintonia con il Parlamento europeo, proclama di voler procedere a verifiche ex post che necessariamente richiedono la raccolta e valutazione di dati quantitativi. Per ora, nulla è accaduto e nulla può accadere perché non sono ancora a punto le tecniche mediante le quali si può avviare questo tipo di valutazione. Tuttavia, l’anelito a conoscere che cosa accade dopo il varo di un provvedimento lato sensu legislativo è comprensibilmente forte. Del resto, è quanto ha sempre tentato di fare la Scienza delle finanze in materia fiscale. È necessario anche richiamare l’attenzione sul declino della fiducia nelle capacità conoscitive delle scienze economiche. In realtà, tale fiducia era sicuramente mal riposta perché le basi epistemologiche del pensiero economico cosiddetto main stream sono piuttosto fragili, come indica il nome stesso, main stream, il quale significa che la larga parte degli adepti ad una data tradizione di ricerca prosegue nell’uso di un paradigma metodologico senza farsi carico di fornire risposte convincenti agli argomenti dei dissidenti e così fondare teoreticamente un metodo.
In sintesi, al momento attuale vi è una domanda di conoscenza assai vasta, che però è insoddisfatta dalle prestazioni dei suoi fornitori abituali, i quali continuano a ‘rimanere’ sulla scienza perché nessun altro si è attrezzato per sostituirli. Va detto che il ruolo e la funzione delle grandezze quantitative nel mondo del diritto sono problemi ancora aperti, ma è dimostrabile che qualunque funzione dei dati quantitativi non è dissociabile dalla dimensione comparativa, perché senza il contesto comparativo i dati quantitativi riferiti a qualunque aspetto della realtà sociale, ma finalizzati ad agevolare scelte di tipo giuridico, perdono significato. Dall’altro lato, l’attrezzatura metodologica della comparazione giuridica moderna la abilita ad affrontare le sfide più complesse.
‘Misurare il diritto’ è pertanto formula denotativa di un’area problematica che tocca ai comparatisti e a pochi altri affrontare. Senza pretendere di offrire risposte risolutive, si possono tuttavia evidenziare i possibili punti di vista dai quali il problema deve essere affrontato.

Primo tema. Sul piano della metodologia scientifica (ovvero di quello gnoseologico) il punto di partenza rimane ancorato alle teorizzazioni di Carl Gustav Hempel (1936) e poi di Rudolf Carnap (1966), vale a dire a quelle del Circolo di Vienna.
Tale riflessione si è portata soprattutto sulla metodologia della ricerca nel campo della fisica e il suo grande merito è stato quello di inserire i concetti comparativi tra quelli classificatori e quelli quantitativi. Innovando, con ciò, il paradigma disponibile nella storiografia della fisica occidentale, il quale contemplava il passaggio dalla fisica di Aristotele – essenzialmente classificatoria – alla fisica galileiana – essenzialmente quantitativa, dato che si fonda su misurazioni accurate di dati sperimentali. I tre tipi di concetti classificatori, comparativi e quantitativi – è questo l’aspetto rilevante – sono in scala gerarchica relativamente alla pregnanza delle informazioni che si possono trasmettere facendo uso degli uni o degli altri. Di questa gerarchia, sotto il profilo della pregnanza informativa, si può dare un esempio banale:
– il Nilo e il Volga sono grandi fiumi – categoria di cui il Po fa (o, non fa) parte [informazione classificatoria];
– Il Nilo è più lungo del Volga e il Volga è più lungo del Po [informazione comparativa];
– Il Nilo è lungo 6.671 km; il Volga è lungo 3.688 km; il Po è lungo 652 km [informazione quantitativa].
È lampante che il terzo messaggio fornisce più informazioni degli altri due perché ci dice di quanto il Volga è più lungo del Po ed è altrettanto chiaro che il secondo fornisce più informazioni del primo eliminando le incertezze circa il criterio di inserimento nella categoria ‘grandi fiumi’.
Poiché Carnap aveva in mente il paradigma delle ricerche fisiche, trascurò gli aspetti cognitivi della comunicazione; aspetti che, invero, in fisica sono poco rilevanti posto che le scale di misurazione sono notissime e, comunque, facilmente convertibili le une nelle altre. Al contrario, nelle scienze sociali, ogni volta che un dato quantitativo è comunicato funzionalmente alla formazione di un giudizio nella mente del ricettore del messaggio, le grandezze quantitative assumono un valore informativo incerto perché non si può presumere che nella mente dello stesso esista la scala di riferimento completa. Ad esempio, personalmente faccio fatica a comprendere che cosa sia un podere di 5 ettari, ma capisco benissimo che cosa significhi un podere di 1.500 pertiche cremonesi.
Da ciò consegue che molto più informativamente pregnante risulta la comunicazione in cui la grandezza quantitativa sia inserita in un contesto comparativo. Al riguardo basta riflettere sul fatto che tutte le cosiddette valutazioni (valutazione è altra nomenclatura per indicare il concetto di giudizio in senso kantiano) pongono capo a graduatorie comparative (ranking); sicché, poi, l’informazione che effettivamente circola e prepara la formazione di giudizi è il piazzamento nelle graduatorie, e tale piazzamento null’altro è che una grandezza comparativa; mentre la grandezza quantitativa che serve a giustificare il piazzamento in graduatoria scivola in secondo piano, quando non scompare del tutto dalla sfera dell’agire comunicativo. All’inaugurazione dell’anno giudiziario 2010, per fare un esempio, Vincenzo Carbone, presidente della Suprema corte di cassazione, ha richiamato le informazioni contenute nel rapporto Doing Business 2010, ma ciò che è apparso sulla stampa è stato il dato sul ranking dell’Italia che la vede al 156° posto nella graduatoria relativa al recupero crediti. In realtà, la posizione è la 157a ed è relativa all’indicatore enforcing contract che si compone di tre sub indicatori (numero atti procedurali: 41; giorni di durata del procedimento: 1.210; costo rispetto al valore della domanda: 29,9%).
Nel mondo della comunicazione dei dati sociali il momento comparativo è in effetti immensamente più significativo della semplice comunicazione dei dati quantitativi, sicché ciò che è in questione è la sinergia tra i due tipi di informazione.

Secondo tema. La comparazione giuridica moderna è stata refrattaria ai dati quantitativi perché ha praticato la comparazione strutturale (comparazione per modelli), che è rivolta a evidenziare, da un lato, le interconnessioni tra elementi di un sistema, dall’altro, gli elementi latenti del sistema.
Gli elementi latenti (i crittotipi, le mentalità) si rilevano in due modi: attraverso l’esame critico degli esiti fattuali del processo decisionale (il celebre polo della law in action); attraverso la ‘spia’ del linguaggio. È significativo che la lingua francese distingua tra il fleuve (fiume) che si getta nel mare a la rivière che si getta in altro corso d’acqua, ma abbia un solo vocabolo per indicare sia il legno che il bosco, che il legname, mentre la lingua danese abbia quattro parole diverse per indicare un albero (trae), il bosco (skov), il legname da costruzione (tømmer), il legno da ardere (braende). Come è altrettanto rivelatore il fatto che la lingua giuridica tedesca abbia quattro vocaboli distinti per indicare il fatto, l’atto, il negozio e il contratto, mentre la lingua del common law tradizionale faccia riferimento alla sola espressione contract. In tutti questi casi la lingua è sintomo esternamente percepibile del livello di attenzione analitica portata da una comunità di parlanti su un fenomeno. La comparazione strutturale è comparazione critica (non nel senso di critica decostruzionistica, ma di critica comprendente), perché rigetta l’idea semplicistica di un mondo ordinato prima del pensiero umano e del linguaggio, e delle categorie ordinanti in cui tale pensiero si esprime; non accetta il valore semantico facciale delle dichiarazioni verbali, specie quelle dei legislatori; ma questo salutare approccio critico è pagato con la rinunzia ad utilizzare dati quantitativi disponibili. Infatti non esistono e non possono esistere misurazioni quantitative dirette dei crittotipi. Tuttavia, proprio questa lacuna ha dato origine a non poche frustrazioni maggiormente avvertibili in ambienti culturali meno sensibili allo storicismo strutturalista. Un buon esempio è offerto dalle centinaia di studi e di ricerche giuscomparatistiche dedicate al tema della corporate governance, che non hanno consentito di guidare le scelte decisionali che si debbono compiere a livello di regolazione nazionale o sopranazionale. Scelte e decisioni che possono essere orientate solo dalla raccolta di dati quantitativi criticamente vagliati, compiuta a valle di ciascun modello.

Terzo tema. Ciò che la comparazione giuridica ha rinunziato a fare è stato tentato da altri. In particolare, da economisti che hanno preso le mosse dalla corrente della New Institutional Economics (NIE). La relazione che unisce la NIE al cosiddetto movimento delle Legal Origins è lineare. È probabile, date le sue manifeste aporie, che questo movimento declini. Però la testa di ponte sul terreno della comparazione quantitativa è stata lanciata e bisogna sempre ricordare il monito di Carnap circa la superiorità intrinseca delle informazioni veicolate mediante concetti quantitativi rispetto a quelle veicolate attraverso concetti comparativi; perciò, nel lungo periodo, le informazioni veicolate da concetti quantitativi, debitamente contestualizzate comparativamente, sono destinate a prevalere. Vale, poi, al riguardo quanto detto sopra circa l’intensità della domanda di conoscenza sugli effetti delle leggi.

Quarto tema. Come coniugare la maggior provvedutezza metodologica della comparazione critica con l’irresistibile prevalenza dei concetti quantitativi. Al riguardo propongo solo alcune osservazioni. In primo luogo, si deve ricordare che la messe di dati quantitativi attualmente disponibili è esponenzialmente crescente. In tutto il mondo milioni di persone lavorano a raccogliere dati, classificare dati, diffondere dati espressi in forma numerica. Tuttavia, la gran parte di quelli disponibili relativi alle condotte sociali è falsa, fuorviante o non correlata al significato ad essi attribuito. Si faccia attenzione che per ‘dati falsi’ non si intende solo raccolti in modo anomalo. Il punto è che le informazioni espresse in forma numerica possono essere oggetto di trasformazioni matematiche. Secondo quanto reperibile sulla rete, in Italia il tabacco farebbe 90.000 morti all’anno; sempre 90.000 sarebbero i morti accertati da amianto; la stessa cifra corrisponderebbe ai decessi causati da malasanità; comunque 90.000 sono le vittime del cancro colo-rettale; infine, tra il 1970 e il 2005, sommando gli incidenti connessi con gli impianti a carbone, olio combustibile, gas naturale, GPL e idroelettrico si ottiene un totale di 90.419 morti. Il tropismo per il numero 90.000 è evidentemente endemico. Bisogna quindi attrezzarsi per verificare criticamente i dati partendo dalle loro fonti di rilevamento; ripulire i dati verificati estrapolando quelli correlati al fenomeno sociale oggetto di studio; scomporli al fine di renderli omogenei al confronto comparativo. Le tecniche di trattamento dati non possono rimanere estranee al bagaglio epistemologico del comparatista. A quest’ultimo riguardo si deve però puntualizzare che la pluralità di competenze specifiche richieste per questa attività di politura suggerisce la necessità di condurre ricerche in équipe, modificando radicalmente il modus operandi con cui vengono condotte le indagini giuscomparatistiche.
Come seconda osservazione, è doveroso sottolineare che ripulire i dati implica qualcosa di metodologicamente importante per noi giuristi: e ciò ci porta a esaminare un ulteriore aspetto specifico del problema. È ovvio che i dati raccolti da qualsiasi apparato dedito a tale operazione debbono essere inseriti in certe classi predefinite. Le classi sono insiemi e le procedure di reperimento dei dati dovrebbero garantire che ciascun membro dell’insieme vi sia stato inserito dopo aver verificato che esso possiede i tratti caratterizzanti richiesti. La predefinizione dell’insieme avviene tramite un concetto classificatorio e quindi la formulazione della definizione è arbitraria. Però la definizione dell’insieme finalizzato alla raccolta dei dati deve possedere almeno due caratteristiche: essere tale che la procedura di addizione di un nuovo membro all’insieme possa venire condotta da una pluralità di operatori in modo impersonale; essere sufficientemente precisa nella sua forma concettuale al fine di consentire una verifica altrettanto impersonale della coerenza tra i membri dell’insieme. ‘Impersonalità’ qui significa irrilevanza degli orientamenti personali del soggetto che esegue l’operazione di addizione di un membro all’insieme; ciò che rileva è che conosca ed esegua correttamente le procedure richieste per l’inserimento nell’insieme. Tutti i sistemi giudiziari occidentali si fondano peraltro su tale presupposto basilare. La precisione della definizione concettuale dell’insieme o classe è, invece, caratteristica che richiede qualche delucidazione. La funzione della precisione, come già chiarito, è di consentire una verifica ex post del corretto inserimento nell’insieme di, e solo di, elementi che abbiano le caratteristiche richieste. Ad esempio: in uno studio medico si faceva riferimento a dati quantitativi riferiti a ‘complications related to influenza’. Si è giustamente osservato come la definizione della categoria fosse imprecisa per due motivi: non chiariva se per ‘influenza’ si intendevano i casi patologici diagnosticati come tali in sede di primo tentativo diagnostico, normalmente nel certificato rilasciato dal medico di base, oppure i casi di influenza verificati come tali in sede di analisi di laboratorio; non chiariva che cosa si intendesse esattamente per complications. Simili imprecisioni classificatorie rendono inutili i dati raccolti. In tutti i settori scientifici non sempre è possibile dare definizioni sostanziali dei caratteri di un insieme classificatorio che siano assolutamente precise e inequivocabili. Ci si deve accontentare di definizioni il più possibile precise in un dato ambito. Ed è a questo proposito che appare opportuno esplicitare una breve considerazione sul contesto epistemico delle scienze giuridiche a fronte del problema della rilevazione delle grandezze quantitative. Gli insiemi che servono a classificare e raccogliere i dati quantitativi hanno la stessa sostanza logica delle categorie. Si tratta sempre di utilizzare concetti classificatori. È noto come la Scuola pandettista abbia rappresentato il massimo sforzo storicamente registrabile verso la definizione di categorie giuridiche il più possibile precise. Tale tentativo si è svolto in funzione o, se si preferisce, in direzione, della costruzione di un processo decisionale dotato di meccanica precisione, ma è caduto in discredito: la satira di Rudolf von Jhering in cui si rappresenta il cosiddetto ‘paradiso dei concetti’ popolato da giuristi tutti abilissimi nello spaccare un capello in quattro ha sedotto quasi tutti gli esperti di diritto del XX secolo. Il favore dei moderni va alle categorie flessibili che conservino un certo valore ordinante, ma che non blocchino lo sviluppo del diritto giurisprudenziale cui sono state affidate le speranze del secolo passato. Deve essere chiaro che la rilevazione dei dati quantitativi esige il tipo di definizioni che sta nel ‘paradiso dei concetti’ di Jhering, ossia persegue l’ideale della massima precisione analitica e non già della accettabile flessibilità. Con ciò non si vuole ritornare alla metodologia pandettistica perché essa era funzionale alla cosiddetta ‘costruzione giuridica’, ossia alla conformazione di un procedimento valutativo; mentre, nel caso della raccolta dei dati giuridici, ci si rivolge solo alla classificazione dei dati di fatto e, grazie alla ontologica separatezza tra fatto e valore, è sicuro che, in primo luogo, non abbiamo bisogno di utilizzare lo stesso apparato metodologico in entrambi i campi e, in secondo luogo, sarebbe epistemologicamente ingiustificata anche la semplice imitazione. Chiarito quest’ultimo aspetto, rimane tuttavia opportuno sottolineare che le ricerche giuridiche quantitative richiedono una inversione di mentalità rispetto all’approccio oggi dominante in materia di individuazione delle categorie di riferimento. La terza osservazione che vorrei proporre è che non tutti i settori di indagine si prestano ad analisi quantitative. La selezione è guidata da un criterio banale e dipende dall’abbondanza, o rarefazione, dei dati statistici disponibili. Il comparatista, a differenza dell’antropologo, non può eseguire raccolte di dati sul campo e, poiché deve selezionare i dati, deve anche essere sicuro di poter disporre in partenza di una messe di dati statistici considerevole. Settori come il processo civile, l’attività bancaria e assicurativa, la tutela dell’ambiente sono esempi di campi di indagine promettenti. Al riguardo, occorre aggiungere un ulteriore elemento. Si è già ricordato come risorse pubbliche siano state destinate a finanziare studi e ricerche dedicate alle misurazioni ex post dell’impatto delle leggi; benché tali ricerche si muovano forse nell’ambito dei pii desideri, appare tuttavia più che legittimo, anzi encomiabile, che i legislatori vogliano sapere quali effetti sociali producano i provvedimenti da essi emanati: si tratta quindi di un settore delle ricerche giuridiche che va incoraggiato. Probabilmente, però, indagini dedicate all’effetto diretto dei provvedimenti legislativi sono troppo ambiziose e non misurano bene la distanza tra l’obiettivo e i mezzi tecnici per raggiungerlo. Le tecniche di misurazione degli effetti del diritto possono giovarsi delle previsioni implicite nella teoria dei ‘formanti’. Una delle implicazioni di tale teoria è che i cittadini regolino le loro condotte sull’esito del processo di applicazione-interpretazione delle norme ad essi più vicino. Ora, se ciò è vero, si deve assumere che tra la norma legale inderogabile in tema di portabilità dei mutui prima casa e la risposta che il cittadino ottiene allo sportello bancario, quando chiede l’avvio della procedura interbancaria in tema di portabilità, si estende una catena assai complessa di interpretazioni, trasposizioni di messaggi e nozioni, traduzioni da un gergo tecnico all’altro, di cui è molto difficile venire a capo. Al fine di addestrare i ricercatori a rilevare i dati quantitativi è più sensato partire dalla formulazione della regola più vicina alla posizione dei cittadini.
Qualcuno osserverà che ciò conduce ad una situazione analoga a quella immortalata dal ‘principio di indeterminazione’ di Werner Karl Heisenberg, in quanto più una regula juris è vicina all’agire del singolo cittadino, più è comunicata ad esso in modo informale, frammentato, indocumentabile e, in definitiva, non identificabile con precisione; più la regola è formalizzata in modo documentabile con precisione, più è distante dall’agire dei cittadini. Tale difficoltà sussiste, tuttavia è presto per dire che abbia la stessa ineluttabilità dell’impossibilità di misurare esattamente e assieme la velocità e la posizione di una particella, ed è vero, invece, che esistono regole giuridiche che si pongono in contatto diretto con il cittadino e sono abbastanza ben documentabili: si tratta delle decisioni giurisprudenziali. Anche in questo caso vi sono non pochi fattori di distorsione da tenere presente al fine della ripulitura dei dati, tuttavia il compito è meno impervio. Ricerche di misurazione degli effetti delle regole giuridiche potrebbero partire vantaggiosamente dalle regole giurisprudenziali.
Il territorio per le indagini comparatistiche quantitative è quindi aperto, è accessibile in alcuni punti ed è immenso. I competitors sono al momento in ritirata, l’occasione è propizia; la strada è impervia, ma aperta a chi voglia cimentarsi in questo filone di ricerca.

Questo testo riprende parte della relazione tenuta al I Congresso nazionale della Società Italiana Ricerche Diritto Comparato (SIRDC), Milano, 5-7 maggio 2011.

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