DUE

Due, uguali o diversi. Uguali, a volte, ma non dura a lungo. Presto la simmetria si rompe, ed emerge il dilemma: collaborare o contrastare, differenziarsi o fagocitare?
Due, con quell’ansia di individualità che separa i gemelli identici, un clone di cellule che, a partire dall’uovo fecondato, avrebbe altrimenti prodotto un solo individuo adulto. Un clone diviso in due, qualche volta soltanto per un momento, come in un piccolo pesce delle acque dolci sudamericane in cui i due gruppi di cellule, che appaiono ormai destinati a formare individui distinti, si uniscono di nuovo insieme a formare un unico embrione.
Due, diversi ma specularmente uguali, come il piede sinistro e il piede destro. Figure doppie che ancora una volta lasciano spazio all’individualità, quando l’animale è asimmetrico, anche se non c’è una regola universale valida per tutti gli individui della specie. Così, guidata dal prevalere di uno dei due emisferi cerebrali sull’altro, la mano che muove la penna per scrivere è per te la destra, per me la sinistra. Così come la spira della conchiglia di molte chiocciole si avvolge in senso orario, quella di altre in senso opposto. Ma ci sono specie in cui una versione coesiste con l’altra, in un rigoroso gioco di specchi.
Due, come i bastoncini cinesi che, insieme, raccolgono dal piatto un pezzetto di carne o dei chicchi di riso; o come le branche della chela di un granchio, pronte ad afferrare la preda.
Due, come le antenne di un insetto, come gli occhi di una gazzella o di un leopardo, come le grandi orecchie dell’elefante o del pipistrello. Due organi di senso dove l’essere in coppia non è un segno di eccesso, uno spreco di risorse, e nemmeno la traccia di una prudenza che consiglia di tenere da parte un duplicato, prezioso quando l’altra copia viene messa fuori uso. Magari la natura ci avesse dato un cuore di ricambio, o un cervello di scorta (purché fosse, s’intende, una copia fedele di quello che usiamo). Due, invece, sono questi organi di senso, uno a destra e uno a sinistra, sempre intenti a ricevere stimoli dal mondo circostante: le notizie vanno subito al cervello e questo, in tempo reale, confronta i messaggi che gli arrivano da destra e da sinistra, e così può localizzare la fonte di un odore, la direzione e la distanza di un oggetto percepito.
Due, diversi ma insieme necessari, come l’uovo e lo spermatozoo.
Due come i partner nella vicenda sessuale del paramecio, che non conosce la distinzione fra maschio e femmina, ma sa scegliere comunque il compagno più adatto fra tanti possibili candidati. Quando la scelta è avvenuta, altissima rimane la tensione fra l’abbandonarsi all’unione fondendosi con il partner e il conservare, invece, la propria individualità. La vicenda finirà per premiare la sopravvivenza del due – meglio, dei due – perfino nell’unione sessuale. Identici nella forma, ma distinti nell’alchimia delle molecole che rivestono la loro superficie, i parameci si accostano l’uno all’altro fino a permettere che tra loro si formi un ponte, stretto stretto, appena sufficiente allo scambio reciproco di un nucleo, un pacchetto di geni che presto si appaia con uno consimile rimasto in ciascuno dei due partner. Ma quando avverrà questa unione, vero culmine della loro coniugazione, i due partner avranno già rotto i ponti – anzi, il ponte – e saranno oramai due ex, due separati, ognuno per la sua strada, eppure cambiati per sempre da quel breve istante in cui forse non erano più individui distinti, ma neppure si erano fatti uno, quale è invece l’uovo fecondato.
Fra i tanti confini incerti in cui ci imbattiamo, nel mondo dei viventi, vi è dunque il confine fra l’uno e il due, fra l’indiviso e il diviso. Per un attimo, l’individualità dei parameci in coniugazione sembra prossima a perdersi, ma il passo non viene mai compiuto per intero e il due finisce di nuovo per trionfare. Questo, almeno, a guardare le cose dal di fuori. Dentro a ciascuno, infatti, dopo il reciproco addio viene presto a perdersi la duplicità dei pacchetti di geni – quello originario e quello regalato dal partner – che finiscono per diventare una cosa sola.
Partner separati, dunque, ma nuclei cellulari uniti: l’uno nel due, anziché l’uno nell’uno che ci regala lo zigote.
Se poi non ci bastasse questa aritmetica della sessualità, potremmo attardarci un attimo anche sui funghi. Come nel paramecio, parlare di maschi e di femmine pure qui non sarebbe appropriato. Anche i funghi, però, hanno le loro soluzioni per far sì che i nuclei di due cellule finiscano per ritrovarsi insieme e magari, prima o poi, per fondersi tra loro, come tra la cellula uovo e lo spermatozoo che la feconda.
Per un’ifa, c’è un solo modo per raggiungerne un’altra: crescere, allungandosi fino a toccarla. Può darsi che così, nel punto di contatto, si formi un ponte, come fra due parameci in coniugazione: allora, potrà passare un nucleo. Ma i nuclei dei funghi sono molto schivi. Anche quando si trovano vicini vicini, negli spazi angusti di una stessa ifa, i due nuclei aspettano, prima di unirsi. Il fungo crescerà, anche per mesi, allungando e intrecciando le sue ife, fatte di cellule che contengono ciascuna due nuclei: questo due nell’uno non va perduto nemmeno quando la cellula si divide, perché i suoi nuclei si dividono entrambi, all’unisono, così da trasmettere un nucleo di un tipo e uno dell’altro a ciascuna delle cellule figlie. E così di seguito, fino a che arriva il momento in cui dalle ife sottili e nascoste, che si allungano tra le foglie morte e le parti sotterranee degli alberi, è ora di far spuntare fuori un bel corpo fruttifero con cappello e lamelle. È il tempo di mettere le cose a posto: i due nuclei vissuti per tanto tempo uno accanto all’altro, dentro la stessa cellula, finiscono per unirsi tra loro, come in ogni evento sessuale che si rispetti.
Due, infine, come maschio e femmina. Oppure – una volta ancora – due in uno, come in Ermafrodito. Il quale, fuori dal mito, prende oggi le sembianze familiari della chiocciola o del lombrico. Oppure quelle, un po’ meno confidenziali, della tenia o della sanguisuga. Animali regolarmente provvisti degli organi riproduttivi maschili e femminili, che spesso maturano allo stesso tempo. Eppure, anche se un individuo è maschio e femmina assieme, quasi sempre va in cerca di un partner, con il quale potrà avere uno scambio a senso unico, oppure reciproco, secondo i gusti della specie.
L’uno, dunque, ha ancora bisogno del due. Fino al punto di realizzare, con il suo doppio, un’unione permanente, a vita. A questo allude il nome Diplozoon paradoxum, dato dagli zoologi ad un piccolo verme, parassita di pesci d’acqua dolce. Lo si trova sempre in coppia, un doppio ermafrodita dove si sono perduti i confini fra i tessuti dei due partner. Si uniscono quando sono ancora due minuscole larve senza apparato riproduttore distinto, e non si separano mai più. Due per due, dunque, nell’unione paradoxa di questo verme, del quale è stato detto che, forse, è l’unica specie assolutamente monogama che esista sulla faccia della Terra.
Solo due in uno, invece, nell’unione fra il minuscolo maschio di alcuni pesci abissali e la sua voluminosa compagna. Anche la loro, comunque, è un’unione a vita. Siamo nel buio totale delle acque oceaniche profonde, in un ambiente dove gli incontri sono rari, imprevedibili, improbabili. Pochi, per fortuna, quelli con i predatori; pochi, purtroppo, anche quelli con qualcosa da mangiare. Ancor meno frequentemente ci si imbatte in un individuo dell’altro sesso, che potrebbe essere l’unica occasione nella vita, un’occasione da non sprecare. E così questi pesci dall’aspetto bizzarro – sono anche più singolari della rana pescatrice, loro parente stretto – non si lasciano sfuggire l’opportunità. Quando un maschio incontra una femmina della sua specie, si attacca a questa con la bocca e non molla più la presa. Con il passare dei giorni, i tessuti dei due partner si uniscono a formare una sorta di chimera ermafrodita, che per riprodursi non avrà bisogno di trovare altri individui della sua specie.
In questi pesci, le esigenze della riproduzione hanno avuto la meglio persino nei confronti della più ‘gelosa’ fra le difese biologiche dell’individuo, quella barriera immunitaria che determina il rigetto – la distruzione e la rimozione forzata – di ogni cellula estranea, di ogni materiale con cui l’organismo venga in intimo contatto e che non riconosca come parte del suo sé. Nel caso della coppia di pesci abissali, vale però la pena di rischiare. Maschio e femmina non sono più due individui complementari, due partner con ruoli diversi e quasi speculari, ma un ‘due’ che si fa ‘uno’, letteralmente, proprio come avviene tra coppie complementari di quei gameti di cui sono portatori.
Potremmo dire, peraltro, che in questi pesci l’annullarsi del due nell’uno è una ‘decisione’ presa fra due adulti, mentre nei veri ermafroditi la duplice natura sessuale è presente fin dalla nascita: così nel lombrico e nella sanguisuga, per non parlare della chiocciola (la polposa e ghiotta escargot), dove perfino la gonade, unica, dimostra un’ambiguità inattesa, tanto da essere definita ovotestis: mezzo testicolo e mezzo ovario. Così anche nell’ostrica, e perfino nella cernia e nell’orata, ma questi pesci trascorrono la loro vita passando per fasi successive, o addirittura alterne, di identità femminea e mascolina. Chissà se c’è una ragione per la presenza di tanti ermafroditi fra le prelibatezze culinarie…
Comunque, quali che siano l’identità e le vicende personali degli individui che li hanno prodotti, i due gameti sono pronti a mostrarci, infine, l’esempio ultimativo di annullamento del due nell’uno. Ma basterà aspettare l’inizio della segmentazione, con la prima delle divisioni cellulari che trasformeranno l’uovo fecondato in un embrione sempre più articolato e complesso, per ritrovare quel due che, appena uscito dalla porta, è subito pronto a riaffacciarsi alla finestra.

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