CAOS

Asilo nido, metà mattina, i bambini e le bambine sono in attività, un gruppetto è in giardino, un altro sta facendo merenda, un terzo è immerso nel caos più totale. Grida, strilli e risate, uno scenario che all’apparenza è disastroso. Le due educatrici sono per conto loro, stanno a guardare e non fanno proprio niente; i bambini litigano, uno piange, un altro lo consola, un terzo si butta a terra mentre cerca di sfilare qualcosa da sotto il sedere del suo amichetto.
All’osservatore poco attento si para davanti agli occhi un’immagine di confusione, nulla a che vedere con l’idea di nido che potrebbe essersi fatto, dove i bambini se ne stanno seduti ad ascoltare le favolette o si intrattengono con i giocattoli indicati dalle educatrici.
Quello stesso osservatore potrà ritenere inadeguati i due adulti presenti, che sembra stiano facendosi semplicemente gli affari loro; potrebbe addirittura pensare che non stanno affatto compiendo il loro lavoro: dovrebbero sgridare, ottenere silenzio, attivarsi in qualche modo, invece di consentire a bambini e bambine di… imparare.
In effetti, quei bambini e quelle bambine stanno imparando a giocare, a litigare, a relazionarsi con gli altri, a capire la giusta distanza, fin dove possono spingersi, che cosa succede se l’amico o l’amica dice loro di no, come fare a dire di no. Essi stanno attivando tutte le loro competenze all’interno di uno spazio organizzato dove proprio dal caos emergerà il vero apprendimento, la possibilità di misurarsi e imparare nel qui e ora dell’esperienza.

Regia educativa

In quel nido si attuano laboratori condotti secondo l’approccio maieutico di Daniele Novara, direttore del Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza. Dunque, quel caos che tanto può infastidire il nostro osservatore distratto, in realtà, è voluto e programmato per consentire ai bambini di sperimentare se stessi in uno spazio di libertà. In natura ‘caos’ è sinonimo di vita, mentre ‘ordine’ è qualcosa che fa andare su strade predefinite e molto condizionanti, spesso limitanti.
La regia educativa prevede di saper organizzare una confusione che ha un senso, una confusione che genera confusione, che genera possibili conflitti da cui derivano domande e alle quali i bambini e le bambine danno risposte a partire dalle loro conoscenze, competenze, esperienze. Quelle educatrici altro non hanno fatto se non aver organizzato uno spazio dove permettere al caos di venire elaborato in maniera spontanea, attraverso i vissuti e le azioni di ogni singolo bambino, per acquisire nuove forme di rapportarsi, di affrontare le frustrazioni, di imparare a stare dentro una complessità senza il giudizio dell’adulto e dunque in maniera molto libera.
Certo, le ‘registe’ devono avere bene in mente la trama del film ed essere consapevoli di non conoscerne la conclusione; esse possono bensì osservare come gli esiti avvengano attraverso le dinamiche interne al gruppo di bambini. Un laboratorio maieutico ha il compito di mettere in atto l’esperienza della libertà di pensiero, scelta, azione, senza la paura di sbagliare ma, anzi, utilizzando l’errore come elemento fondante dell’apprendimento stesso.

E per i bambini più grandi?

Naturalmente l’approccio maieutico inteso come possibilità di sperimentare a partire da una casualità, da un’osservazione di ciò che sa fare un bambino o una bambina di fronte all’apparente confusione, non ha limiti temporali; sono laboratori adatti ad ogni età, ma è evidente che il tema si spinge molto oltre. Non si tratta di pura tecnica, di programmazione volta unicamente al risultato nei confronti del piccolo, si tratta di un atteggiamento che parte da alcune considerazioni di fondo legate al significato dell’educare.
Utilizzare l’approccio maieutico all’interno di una modalità educativa come la nostra non è semplice. Tale metodo si basa sull’uso creativo della domanda, mentre di solito i bambini pongono domande e gli adulti sono abituati a dare risposte privando i più piccoli di sviluppare quell’apprendimento che nasce dalla curiosità e dalla ricerca. Nella scuola tradizionale più che sulla domanda l’apprendimento si basa sulla risposta. È necessario, invece, uscire dalla logica della risposta e aprirsi alla domanda che arriva dai bambini, dai loro interessi, dalle loro passioni. Occorre perciò andare oltre la ricerca della risposta ‘esatta’ ascoltando le domande dei bambini, cercando di cogliere quali possano diventare occasione di lavoro didattico per costruire insieme esperienze e processi di apprendimento.
Durante il laboratorio maieutico l’insegnante dovrà favorire la capacità degli alunni di fare da soli, consentendo che dal caos emerga un ordine che ogni singolo troverà grazie al proprio interesse, predisposizione, tipo di intelligenza e via di questo passo.
Il genitore, l’educatore, si pone con un atteggiamento molto diverso da quello tradizionale, innanzitutto non giudicante, aperto agli esiti della vita, consapevole delle cornici necessarie ma attivatore di curiosità. L’adulto diventa allora sollecitatore per consentire la sperimentazione della libertà. Un parola impegnativa.

La libertà non è uno spazio libero

«Vorrei essere libero come un uomo. Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura e cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura…». Sono parole di una canzone di Giorgio Gaber, canzone cui molti di noi hanno fatto riferimento quando si sono posti la domanda sul significato di libertà. La natura e il bosco di cui parla la canzone hanno la caratteristica della confusione, del caos, della casualità, dell’esperienza, dell’improvvisazione, dell’imparare l’arte di arrangiarsi, della spontaneità.
Oggi i bambini sono sempre più invischiati nelle convenzioni e cadono da subito nelle gabbie per loro predefinite. La maggior parte dei piccoli vede tarpata la propria fantasia per una impossibilità a vivere appieno il pensiero magico che li contraddistingue; si convince di sognare, pensare e desiderare cose che altri hanno predigerito e precotto per lui. I bambini e le bambine sono sempre più vittime di un condizionamento attivato in maniera implicita da genitori ed educatori, incapaci spesso di comprendere che il ‘così fan tutte’ sarebbe meglio lasciarlo tra le pagine del libretto dell’opera buffa di Mozart e non farlo diventare il leitmotiv del quotidiano.
Così fan tutti non è consapevolezza a educare, non è aiutare i bimbi a imparare a pensare con la propria testa, conoscendo il proprio corpo, le proprie emozioni, le proprie azioni ed eventualmente reazioni.
La libertà è una parolona per un bambino e una bambina, allora l’idea di poter progettare il caos per far vivere un’esperienza di libertà sembra senz’altro un’occasione ghiotta per riflettere prima di tutto su noi adulti, per aiutare i piccoli a dire, un giorno, «libertà non è uno spazio libero» ma poter scegliere. Solo l’uomo e la donna liberi posso scegliere e scelgono perché hanno imparato a pensare.

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