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Martedì 12 settembre 2023 più di 5.000 persone, partite dalla Libia e dalla Tunisia, sbarcano a Lampedusa; la settimana successiva 82 organizzazioni di varie nazionalità firmano l’appello Arrivi a Lampedusa: solidarietà e resistenza di fronte alla crisi dell’accoglienza in Europa! per chiedere un’Europa aperta e percorsi sicuri e legali per i migranti.

Ho cominciato a interessarmi alle mobilitazioni per la libertà di movimento e per i diritti dei migranti nel 2011, nel contesto di una ricerca per l’Università di Sciences Po di Parigi riguardante le conseguenze della rivoluzione tunisina sui fenomeni migratori del Nord Africa.

Alla caduta del regime di Ben Ali nel 2011, 35.000 tunisini avevano attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Italia. A questi si erano aggiunte le persone in fuga dalla Libia in guerra.

Molti di loro erano morti o scomparsi durante la traversata, altri erano riusciti a compiere il viaggio e a continuarlo verso diversi paesi europei. Altri ancora, meno fortunati, erano stati espulsi e rimandati in Tunisia subito dopo il loro arrivo. Alla fine del mese di marzo del 2011, Lampedusa ospitava circa 6.200 migranti. Come ha notato l’antropologo Ruben Andersson nel suo libro Illegality, Inc. Clandestine Migration and the Business of Bordering Europe (2014), dopo le tragedie accadute a Ceuta e Melilla nel 2005 – durante le quali centinaia di migranti erano stati uccisi dalla polizia per aver tentato di scavalcare il muro che impedisce l’accesso alla costa mediterranea – un crescente movimento di militanti aveva iniziato a convergere sul confine euroafricano per contestare il regime delle frontiere. Proprio la Tunisia, nel 2011, stava diventando uno dei luoghi di convergenza di diverse mobilitazioni.

Nei dodici anni che intercorrono tra il 2011 e il 2023, gli attori della solidarietà hanno continuato a incontrarsi, a organizzarsi, a riunirsi, a pensare a forme di mobilitazione collettiva per dare al movimento una dimensione ‘transnazionale’. Se la migrazione è di per sé ‘trans-nazionale’, anche gli organismi della solidarietà lo sono diventati per la composizione plurinazionale dei loro team, per i molteplici luoghi del confine euro-africano dove si svolgono le attività, per il valore che anima il loro impegno.

I 5.000 arrivi del 12 settembre 2023 evocano quanto è successo nella primavera 2011. L’attenzione mediatica su queste cifre impressionanti, ieri come oggi, alimenta la retorica dell’emergenza e dell’invasione, che serve a nascondere la carenza strutturale e di lungo termine delle politiche migratorie e di accoglienza. Questa focalizzazione allarmistica va letta dentro un contesto sempre più restrittivo delle libertà di movimento e sempre più repressivo, considerati gli accordi di esternalizzazione delle politiche migratorie firmati con governi autoritari di paesi confinanti dell’Unione Europea, o le difficoltà opposte ai visti Schengen o, infine, la criminalizzazione della solidarietà. A più di dieci anni di distanza dall’inizio delle mie ricerche, ritrovo immodificati tutti questi elementi, mentre in Italia e in altri paesi UE, proprio in questi giorni, viene incrementato il controllo delle frontiere interne.

Da un altro orizzonte, queste cifre permettono invece la creazione di uno spazio ‘altro’. Per Lampedusa, un’isola al centro del Mediterraneo dove l’incontro tra chi arriva e chi ci vive è inevitabile, si tratta di momenti che innescano costantemente nuove solidarietà e permettono a coloro che vi giungono di uscire dall’invisibilità, di diventare persone invece che numeri. Anche fuori da Lampedusa, nascono pratiche di solidarietà locali e transnazionali che si sviluppano lungo il percorso del viaggio verso la Francia, a Ventimiglia, Marsiglia, Parigi. Queste pratiche sono rapidamente oscurate dalla retorica e dai dispositivi dell’emergenza, che trasferiscono ogni azione nella logica della gestione, dello smistamento nei centri di accoglienza, dei rimpatri. Ciononostante, sono i momenti di solidarietà ‘altra’ che hanno sulle persone delle conseguenze, certo meno visibili, ma profonde.

L’appello del 18 settembre 2023 citato in apertura è importante per un aspetto peculiare, cresciuto e consolidatosi in questi ultimi anni. Esso riunisce una molteplicità di soggetti, di associazioni e di collettivi – tunisini, maliani, nigerini, marocchini, siriani, libici, senegalesi, francesi, italiani, tedeschi, belgi, svizzeri, austriaci – che hanno fatto propri i valori della solidarietà transnazionale, ma anche quegli attori che si riconoscono fuori dalle categorie nazionali, definendosi semplicemente come ‘mediterranei’, ‘balcanici’, ‘europei’. I membri di questa rete si battono quotidianamente per i diritti delle persone migranti e per la regolarizzazione dei sans papiers, salvando vite in mare, ma costruendo anche un importante lavoro di memoria.

Alcuni firmatari dell’appello, assieme a molte famiglie di migranti, hanno dato origine a CommemorAzioni – eventi realizzati «per ricordare chi ha perso la vita o è scomparso attraversando le frontiere» – ma anche a momenti di protesta per ribadire che «non è il mare a uccidere le persone, ma il regime di frontiera dell’UE».

L’11 ottobre 2023 a Lampedusa si è tenuta una di queste CommemorAzioni, organizzata dall’associazione culturale Maldusa per ricordare le 260 persone lasciate morire nel Mediterraneo centrale dalla guardia costiera italiana e maltese esattamente dieci anni prima. Quel naufragio è stato all’origine anche di Watch the Med Alarm Phone, un numero telefonico di emergenza auto-organizzato per migranti in difficoltà nel Mar Mediterraneo, creato nel 2014 da attivisti e attori della società civile in Europa e Nord Africa: una rete transnazionale di volontari sulle due sponde del Mediterraneo (alcuni lo hanno attraversato) che si batte ogni giorno per assicurare che le operazioni di soccorso avvengano tempestivamente e per denunciare le violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti in mare. Alarm Phone fa oggi parte di quella ‘flotta civile’ detta Civil Fleet che assiste e salva le vite di migliaia di persone nel Mediterraneo centrale. Negli ultimi anni, anche Civil MRCC, un centro non governativo di coordinamento del soccorso marittimo, svolge un suo ruolo per migliorare la gestione e la documentazione sulle missioni di soccorso: un’altra struttura di solidarietà transnazionale che permette di rinforzare i legami tra attori diversi mobilitati contro le violazioni dei diritti umani e le morti in mare. Questi sono solo alcuni esempi che fanno emergere la vasta rete transnazionale che si batte per la libertà di movimento con repertori di azione collettiva molteplici e complementari, compresi tra la lotta per il rispetto dei diritti dei migranti e il lavoro di salvataggio, di documentazione e di memoria.

Quest’ultimo appare cruciale, come ci ricorda Maria Chiara Rioli quando scrive: «nella storia delle mobilità, gli archivi consentono di ridare profondità a quello che viene presentato come un eterno presente, rintracciando le connessioni, inaspettate e plurime, tra persone, gruppi, oggetti e ricostruendo storie, esistenze, identità».


https://alarmphone.org/it/chi-siamo/
https://civilmrcc.eu/joint-statement-arrivals-in-lampedusa/
https://www.letture.org/l-archivio-mediterraneo-documentare-le-migrazioni-contemporanee-maria-chiara-rioli
https://www.maldusa.org/l/lampedusa-commemorazione-11-ottobre-2013-2023/

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