TRANS-

Crevaduris in friulano significa ‘crepe’, ‘spaccature’, ‘fessure’.

Simbolicamente la parola rappresenta anche le cicatrici, segni tangibili di rottura, tracce indelebili su un corpo che ha sofferto. È un progetto che si propone l’obiettivo di emancipare dalla repressione, dal silenzio e dalla ritrosia che spesso si accompagnano al dolore vissuto come un’esperienza privata, da patire dentro di sé, in solitudine. Il dolore chiede e richiede di essere espresso, di essere riconosciuto, sussurrato o urlato a seconda dei casi. L’arte diviene il mezzo privilegiato per dare corpo e forma all’inesprimibile. Un invito a evitare la demonizzazione della sofferenza per accettarla, invece, attraverso pratiche di consapevolezza, come una dimensione naturale e importante di quel che siamo. L’elaborazione artistica prelude così all’atto di rinascita. Lo sguardo che rivolgiamo all’opera si spoglia presto di ogni giudizio, predisponendoci all’ascolto e all’accoglienza.

L’edizione di Crevaduris 2023 ‘LÂ DI LÀ DI’ si è sviluppata attorno al concetto di confine: limite che unisce e separa, membrana che permette lo scambio sinergico, organico, tra dentro e fuori, tra noi e l’altro. Andare ‘al di là di’ significa aprire prospettive e scenari inesplorati, muovere oltre il confine stesso, superarlo, ampliarlo e cambiarlo. L’installazione di Sofia Cappello A un certo punto i delfini... tratta questa tematica avvalendosi di un processo creativo che riesce a mettere in comunicazione diverse dimensioni ed elementi. Una lunga striscia di stoffa sporca di suolo calpestato è il punto di partenza: il tessuto è stato seppellito per un intero giorno sotto il terreno battuto dai migranti della rotta balcanica. L’incedere di quei passi, pesanti e irrequieti, si è impresso in forme astratte che sono state successivamente dipinte. Così trama e ordito custodiscono la prova del passaggio. Per le maglie sottili trapassano poi fili rossi di lana sfibrata che si intrecciano come spesso accade per le storie di vita, come viaggi che s’incontrano. Insieme formano un dedalo circolatorio di vene, arterie e capillari che uniscono i lembi sdruciti, innervandoli di sangue. L’intrico termina in quattro sacchetti colmi di terra a cui sono associate le rispettive testimonianze dei migranti che l’hanno calpestata per giungere in Italia. A fargli da contrappeso, vi è infine un foglio pendente che vuol rappresentare ogni legge contro l’immigrazione, in particolar modo il decreto Cutro. La legge viene qui intesa come un confine di tipo politico-sociale. Un limite astratto che, per quanto non esista a livello fisico o geografico, riesce comunque a impedire il passaggio. Lo stesso accade al fruitore dell’opera che, costretto a contorcersi per poterla osservare da vicino, sperimenta sulla propria pelle quella gabbia invisibile: per muoversi con libertà potrebbe facilmente romperla, eppure non osa farlo. Il confine astratto si sovrappone a quello naturale e impone un suo ordine simbolico, ma secondo l’artista non può vincere di fronte all’entropia del migrare umano. Oggi come non mai, oltrepassare è un gesto di coraggio e di libertà.

multiverso

18