VUOTO

Prima di tutto, almeno un breve chiarimento rispetto ai termini usati, in particolare rispetto al termine ‘scienza’. Se per scienza intendiamo il possesso di verità certe e oggettive, positive e incontrovertibili, allora la filosofia è (quasi per definizione) ‘senza scienza’. Tuttavia, la filosofia può presentarsi come un sapere necessario e universale laddove si impegni a chiarire le condizioni di possibilità del conoscere. Perlomeno a partire da Kant, infatti, la filosofia riguarda le condizioni di un sapere che soltanto successivamente si rivolge a conoscere i fatti, l’esistente. E proprio così, nella misura in cui la filosofia riflette sui presupposti, ovvero sui limiti e sulle possibilità del conoscere, essa circoscrive un orizzonte, un insieme di limiti, i margini di una prospettiva, entro i quali ogni sapere può poi pretendersi scientifico, e oltre i quali ogni sapere cade inesorabilmente nel dogmatismo. In questo senso, la filosofia è ‘scienza’ anche se non possiede e non offre alcun sapere positivo (qui il riferimento è a Socrate).

La filosofia contemporanea (naturalmente una certa filosofia contemporanea) ha rivolto una straordinaria attenzione a svolgere questa funzione antidogmatica preliminare cercando certamente determinazioni quanto più universali che consentano di cogliere e di collocare i dati particolari, le differenze singolari, le specificità che compongono la ricchezza della nostra esperienza, ma senza semplificarli, smarrirli, appiattirli all’interno di categorie e leggi tanto astratte da risultare vuote più che esaurienti. Questo rischio è costitutivo della modernità ma, in modo ancor più urgente, della contemporaneità, che prevede un concetto di esperienza molto articolata, plurale ma frammentata, ricca ma complessa. Alla fine, già in Kant le strutture universali del conoscere si rivelavano incapaci di tenere assieme e di promuovere le particolarità dell’esperienza.

Di fronte a questa sfida, la tradizione della filosofia trascendentale ha rivisto in profondità le sue prospettive. Uno scarto irrinunciabile (implicito nella dialettica hegeliana, ma esercitato con straordinaria consapevolezza da alcuni eredi diretti di quella tradizione come Emil Lask, ma anche indiretti come Jacques Derrida) è rappresentato dall’intendere l’universale come differenza e come contraddizione. Il principio trascendentale, il presupposto o la condizione originaria, non è l’unità, ma la contraddizione. Étienne Balibar parla di universali ‘in conflitto’. Non strutture o concetti assoluti o ideali, bensì universali che sono tali perché contengono al loro interno gli opposti e la cui applicazione al molteplice e al particolare si traduce in forme che prevedono sempre una commistione di identità e differenza. Infatti, attuare una struttura aporetica significa organizzare il reale secondo relazioni doppie e riflessive (‘double bind’ scrive Balibar) che prevedono l’altro come elemento necessario per l’istituirsi di ogni identità.

Di più: le applicazioni di tali universali sono necessariamente aperte, perfezionabili, sempre per lo meno in parte convenzionali, sempre limitate e regionali. Se la totalità (l’universale) è associata alla contraddizione, ogni sua distinzione in identità e differenza è necessariamente e costitutivamente aperta e provvisoria. È per questo che concepire gli universali non come categorie ideali e definite, ma come configurazioni contraddittorie e dinamiche, e trovare forme di attuazione in relazioni che connettono inseparabilmente identità e differenza, significa farsi carico del compito di un perfezionamento ‘infinito’. Infatti, questo radicale rovesciamento del problema filosofico abbandona l’idea (o il mito) dell’unità, dell’identità, della sintesi, dell’ottenimento di determinazioni stabili e di un fine ultimo da raggiungere una volta per tutte. Abbandona l’idea stessa dell’identità con sé e dell’autosufficienza di ogni termine in gioco, un abbandono che investe tutti i pilastri della modernità. Ad esempio, abbandona l’idea di un Io autocosciente in grado di chiarire le proprie strutture pratiche e teoretiche, che è il necessario implicato di una scienza intesa come possesso. Abbandona anche l’idea di mondo e di un ‘uni-verso’ che l’impostazione rilanciata da Balibar traduce nei termini di un ‘multi-verso’: come detto, passare da ciò che è contraddittorio a una determinata relazione tra identità e differenza significa, innanzitutto e necessariamente, riconoscere non solo la possibilità di un perfezionamento della relazione ottenuta, ma anche la possibilità di relazioni diverse e alternative.

Possiamo riassumere schematicamente richiamandoci allo stesso Hegel rievocato da Balibar. Secondo Hegel, il fine del conoscere è la comprensione dell’identità dell’identità e della differenza. Questo ideale non s’incarna in un assoluto, in un’idea metafisica o in un valore positivo. Infatti, l’identità dell’identità e della differenza è una differenza non un’identità. Il termine della differenza, che in questa espressione appare come termine debole e destinato a una totale determinazione, in verità è il termine più forte. Proprio grazie alla differenza, proprio grazie a questo termine indisponente e irriducibile, l’identità non si richiude in se stessa, si svincola dalla propria (presunta) autoreferenza e si rideclina riflessivamente comprendendo l’imprescindibilità dell’altro, del negativo. E questo vale anche per il sapere, che può e deve riflettere su se stesso, non più per cogliersi come ‘scienza’, quanto piuttosto per evitare, anche oggi, ogni oggettivazione e ogni assolutismo. Per ottenere, in altri termini, una consapevolezza sistematica ed enciclopedica che richiami scientificamente ogni forma di ‘scienza’ a un approccio non dogmatico, non ideologico, non appropriativo.

Letture consigliate
Étienne Balibar, Gli universali. Equivoci, derive e strategie dell’universalismo, Bollati Boringhieri, Torino 2018.
Simone Furlani,
Verso la differenza. Contraddizione, negazione e aporie dopo l’idealismo, Padova University Press, Padova 2012.
Francesco Remotti,
Somiglianze. Una via per la convivenza, Laterza, Roma-Bari 2019.

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